Foibe: per non dimenticare! Storie di Altavillesi ed Irpini dall’alterno destino, raccontate da Roberto Vetrone

Il 10 febbraio è il giorno della memoria per migliaia di italiani morti nelle foibe alla fine del secondo conflitto mondiale che aveva visto assegnare alla nascente Jugoslavia (oggi Slovenia e Croazia) tre province italiane:  Pola, Fiume, Zara. La giornata del ricordo è stata fissata con una legge dello Stato Italiano a partire dal 2004. La nuova occupazione di questi territori, oltre a mutilare ingiustamente la Nazione Italiana, aveva comportato l’esodo di 350.000 nostri connazionali. A tutto questo, si è aggiunto che il termine “foibe”, è stato per cinquant’anni oggetto di una accurata rimozione, almeno negli ambienti ufficiali. La “foiba”, è un pozzo naturale che si riscontra con grande frequenza nel terreno carsico della provincia di Pola; ed è stato associato a tutte le eliminazioni di carattere politico ed etnico effettuate nelle province orientali. In effetti le “foibe” riguardano solo una piccola parte delle 15.000 – 20.000 persone di cittadinanza e lingua italiana che sono state assassinate in quella zona dal 1943 al 1950.

I dalmati, i fiumani, gran parte dei goriziani uccisi, sono stati fatti sparire in mille ingegnosi modi che nulla hanno a che vedere con gli orridi carsici. Ciò non toglie che il termine “foibe” abbia assunto un significato particolare nella “pulizia etnica” effettuata a danno degli italiani ed abbia avuto un grandissimo rilievo nel terrorizzare e costringere alla fuga i nostri connazionali. Si cominciò a parlare di “foibe” in Istria e a Trieste nell’ottobre del 1943, quando l’offensiva tedesca permise di riprendere il controllo del territorio, restato per tre settimane in mano agli slavo-comunisti. Erano spariti da 1000 a 1500 italiani:prelevati dalle loro abitazioni e deportati. Ben presto si accertò che erano stati uccisi gettandoli nelle “foibe”. Ma dalle indagini ed ancor più dalle autopsie si seppe come molti fossero morti dopo una crudele agonia, in quanto non erano state sufficienti né le pallottole né la caduta ad assicurare una rapida fine. Anzi si disse che, ad arte, spesso i morituri erano stati spinti a coppia nel baratro, dopo che una sola delle vittime aveva ricevuto il colpo d’arma da fuoco. Fu evidente che chi aveva organizzato la strage, l’aveva premeditata in maniera da colpire la fantasia della gente e renderla folle di terrore. Ovviamente fra gli scomparsi molti erano fascisti, ma tanti erano solamente istriani di lingua, costumi, tradizioni, sentimenti italiani. I marxisti italiani e comunisti, hanno sempre cercato di imporre il silenzio su questa pagina deprecabile della nostra storia; in molti casi negandola. A volte si sono trincerati dietro la motivazione ufficiale accampata dagli sloveni e dai croati che hanno sostenuto, di fatti sporadici frutto di una esasperazione popolare scatenatasi come reazione a venti anni di regime fascista.

Riportiamo di seguito la testimonianza di Secondo Sangianantoni, profugo insieme alla sua famiglia che oggi si gode serenamente la sua pensione ad Altavilla e le tragiche vicende di due altavillesi che non fecero più ritorno a casa. 

«Sebbene siano trascorsi molti anni, quando ripenso al periodo trascorso a Pola, mi viene la pelle d’oca. Il ricordo di quel periodo è stampato nella mia mente con inchiostro indelebile e non soltanto per le brutture della guerra alle quali io, ancora bambino, ho assistito, ma anche per la bellezza dei luoghi dove ho trascorso la mia prima infanzia e la spensieratezza del fanciullo, che si affaccia per la prima volta alla vita scolastica. Era il 1946, con il grembiulino nero ed il colletto bianco annodato con un fiocco tricolore, una cartella di cartone pressato a tracolla, fui accompagnato da mia madre a scuola. I primi giorni trascorsero tra un misto di felicità e tristezza. Ero felice per aver iniziato una nuova vita, ma allo stesso tempo ero triste per aver lasciato una parte della mia libertà. Le cose cambiarono molto presto. La Jugoslavia del maresciallo Tito, aveva iniziato l’occupazione dell’Istria; Pola fu la prima ad essere occupata. L’esercito di liberazione americano d’accordo con i rappresentanti del governo provvisorio Italiano, tentarono di opporsi, ma l’unica cosa che riuscirono ad ottenere fu la divisione della città in due tronconi, la zona A Italiana e la zona B Jugoslava. Ebbe inizio una lotta non solo fisica ma anche psicologica. Per il semplice fatto che l’edificio scolastico era capitato in zona B il corpo insegnante, quasi al completo, fu cambiato. Alla prima elementare, da me frequentata, fu assegnata una maestra slovena che, con evidente spirito di parte, iniziò con il dividere gli scolari in due file. La prima composta da bambini slavi o quanto meno italiani, ma i cui genitori avevano sottoscritto l’opzione per la Jugoslavia, la seconda composta da bambini italiani. Io facevo parte della seconda fila ed insieme agli altri malcapitati, fummo completamente emarginati anche perché la nostra maestra parlava prevalentemente lo sloveno. Il nastro tricolore, fu letteralmente strappato dai nostri colletti e sostituito da uno di colore rosso. Ebbe da questo momento inizio il mio calvario di scolaro non completamente cosciente di ciò che stava accadendo dal momento che per l’età non mi rendevo conto della gravità della situazione. Nonostante tutto, i momenti di svago non subirono cambiamenti radicali. Il più grande divertimento di noi bambini continuò ad essere quello di andare a giocare nella pineta retrostante la stazione ferroviaria, dove mio padre era capostazione, e mossi dalla incoscienza dell’età, andavamo spesso a lanciare sassi in una delle tante foibe che si aprivano lungo i fianchi della montagna. Un giorno, trovammo recintato il nostro parco divertimenti per cui fummo costretti ad infilarci sotto il filo spinato dello steccato per tentare di avvicinarci alla nostra foiba. Grande fu la sorpresa, quando ci accorgemmo che un gruppo di soldati slavi trascinava alcuni civili legati braccio e braccio con filo di ferro, fino ai bordi dell’insenatura. Ebbe inizio un rituale in quel momento da noi incomprensibile, che si concluse con uno sparo. In effetti uno dei soldati aveva dato inizio alla macabra scena della semi fucilazione dei prigionieri politici. Infatti, i malcapitati venivano sistemati ai bordi della foiba ed il primo della fila, veniva ucciso con un colpo di fucile e cadendo trascinava ancora vivi, tutti gli altri. Questa fu la prima di una lunga serie di scene alle quali ho assistito in compagnia dei miei compagni di gioco, di nascosto dei miei genitori. Sarebbe inutile ed anche di cattivo gusto, continuare il racconto di tutte le macabre scene alle quali ho assistito in quel periodo che, per mia fortuna, si concluse con la fuga da Pola ed anche dalle brutture di quella strana guerra. Non sono mai riuscito a darmi una spiegazione logica sul fatto che soltanto da qualche anno si stanno commemorando i martiri delle foibe istriane. Uomini e donne la cui unica colpa era quella di essere italiani ad ogni costo e di non aver voluto rinnegare la loro origine con la sottoscrizione della opzione alla Jugoslavia. Uomini e donne per troppo tempo dimenticati e che non hanno trovato neppure il conforto di una cristiana sepoltura».

Al racconto di  Secondo che ha potuto narrare quelle efferatezze, dobbiamo aggiungere i tragici epiloghi di Eduardo Rossi e Alfonso Iasiello. Dal sito online Altavilla Historica apprendiamo che il primo era nato ad Altavilla Irpina il 25-5-1898 «da Rossi Eduardo, fu Antonio e fu Piccariello Carolina. Dallo schedario della C.R.I. di Trieste risulta: arrestato a Pirano d’Istria. Il Comune di nascita ha comunicato: emigrato a Trieste nel 1924. Nel 1939 il Comune di Pirano rilasciò il libretto di lavoro n. 466. I famigliari non hanno sue notizie da 15 anni (Fonte: Gianni Bartoli sindaco di Trieste)».

Una tragedia annunciata anche per «Iasiello Alfonso figlio di Nicola e De Santis Raffaela nato il 10 novembre 1910». Il giovane, era partito per la guerra e svolgeva in paese l’attività di maniscalco. Si era sposato con Villani Gelsomina il 13 aprile 1936. Dagli atti comunali si ricava che morì il 13 luglio 1944 in quei luoghi e quattro anni dopo fu trascritto il relativo certificato di morte presso l’ufficio anagrafe e di stato civile. Le spoglie, furono riportate ad Altavilla alla fine degli anni ‘50 grazie all’interessamento del fratello Silvestro che lavorava nell’ufficio imposte e consumi cosiddetto “Dazio”. I familiari ricordano ancora quel giorno, allorché: “ Silvestro, la moglie Stella e le sorelle di quest’ultima Maria e Genoveffa con la macchina di Antonio Tartaglia (detto Totonn’ u buzz’) che era una 1100 Fiat a sette posti, raggiungevano la chiesetta di San Bernardino”. Presso la pieve in contrada Ponte dei Santi “arrivarono dei militari, consegnarono la cassettina dei resti avvolta dal tricolore, diedero le condoglianze alla famiglia, fecero il saluto militare e ripartirono”. Scene indelebili ed impresse nella memoria dei presenti tra cui la nipote Alfonsina che porta il suo nome e il marito Carmine Villani che insieme ai parenti organizzarono il funerale nella chiesa Madre con “il trasporto dell’urna funeraria sul motocarro Moto Guzzi di Martino D’Avella (detto Cesare)”. Le spoglie, furono “collocate nel cimitero insieme agli altri cari ”.

Numerosi gli altri  irpini trucidati, molti dei quali erano militari o membri delle forze dell’ordine, presenti nell’elenco realizzato dalle famiglie delle vittime: Michele Caso, militare, Tommaso Clericuzio, sottotenente medico, Angelo De Gruttola, militare, Agostino Formato, carabiniere, Raffaele Giordano, guardia scelta, Angelo Grasso, finanziere, Gabriele Graziano, militare, Domenico Jannarone, finanziere, Antonio Sebastiano, militare, Filippo Numis, ispettore di polizia (Atripalda), Filippo Numis, ispettore generale V. g, (Atripalda), Carmine Ruocco, fuciliere di marina, (Atripalda), Pellegrino Molinaro, militare (Atripalda), Raffaele Perongini, (Atripalda), Luigi Napolitano, militare, Baiano, Guido Valente, guardia, (Avellino), Pasquale Grieco, guardia, (Bonito), Raffaele Frieri, militare, (Cairano), Gentilella Leone, militare, (Calabritto), Angelo Dragonetto, (Calabritto), Giovanbattista Fabiano, militare, (Carife), Paolo Clemente, militare, (Carife), Giovanbattista Mele, militare, (Cervinara), Arcangelo Ferullo, militare, (Chiusano), Francesco Cataruotto, militare, (Grottaminarda), Salvatore De Luca, militare, (Grottaminarda), Pietro Pastorella, militare, (Grottaminarda), Gaetano Romano, guardia, Carmine Ruggiero, militare, (Lauro), Alfredo Sorrentino, militare, (Melito Irpino), Nicola D’Ambrosio, bersagliere, (Mirabella Eclano), Mario Scala, militare, (Mirabella Eclano), Emilio Martignetti, militare, (Montefalcione), Luigi Francipane, militare, (Monteforte), Nunzio Guerriero, militare, (Montefusco), Francesco Colella, militare, (Montemiletto), Luigi Landi, militare, (Montoro) Pasquale Colarusso, guardia, (Pietradefusi), Felice Colucci, militare, (Pietrastornina), Emanuele Bavaro, militare, (Pratola Serra), Angelo Americo Amato, (San Martino Valle Caudina), Michele Rinaldi, militare, (San Nicola Baronia), Dionisio D’Apice, militare, (Savignano), Enrico Fino, militare, (Savignano), Giuseppe Abazia, militare, (Savignano), Luigi Maglione, militare, (Savignano), Giuseppe Guarino, bersagliere, (Serino), Nicola Stanco, fuciliere, (Vallata), Vincenzo Del Vecchio, militare, (Zungoli), Alfredo Jannarone Paronitti, i cui figli hanno ricevuto medaglia ed attestati a Trieste l’11 febbraio del 2008.

 

 

 

 

 

 

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