Dopo una lunga nottata di discussione in Commissione Bilancio, l’emendamento sulla webtax subisce modifiche.

Sparito il primo comma relativo al commercio elettronico, l’obbligo di aprire partita Iva in Italia per i colossi di internet tipo Google e Amazon. Ma advertising, partita Iva e ruling, ovvero il tracciamento dei pagamenti e profitti, restano i capisaldi.

Ma il Bilancio della Camera ha approvato nella notte il decreto di stabilità, compresa la webtax con le modifiche apportate e così nel pomeriggio passa all’esame della Camera, con molte probabilità sulla fiducia del maxi-emendamento, e la vera novità resta la webtax.

Ma facciamo un passo indietro cos’è la webtax?

La webtax o Google Tax è un sistema di tassazione per trarre profitto dalla pubblicità online. Una prima versione è stata stilata già a settembre, ma la versione dell’emendamento discusso e approvato il 13 dicembre introduce l’apertura di partita Iva italiana per le aziende che si occupano di servizi di e-commerce e advertising. Altro obiettivo è rendere tracciabile al fisco italiano il search advertising, uno strumento di pubblicità online, in pratica tutti quei link sponsorizzati che appaiono nella colonna di destra nei risultati dei motori di ricerca.

 Ma la webtax dovrà andarsi a scontrare anche con le direttive e lo scenario europeo. Tempo al tempo per scoprire come finiranno questi tentativi di regolamentare l’economia e il fisco in un mercato digitale in continua evoluzione e che genera i suoi profitti. Tra l’altro la Commissione Europea ad ottobre ha nominato un gruppo di esperti che dovrà elaborare una proposta sulla tassazione digitale su cui si discuterà nella prossima primavera.

 

Giovanna Di Troia

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