L’agonia del lavoro autonomo

 

Forse l’ho gia’detto: non mi piacciono le statistiche, anche perché i freddi numeri ci portano solo a quantificare un fatto ma non a comprenderne la genesi.

Dunque, non so (in termini numerici) la morte dell’imprenditore di Savignano come si inquadri quantitativamente in sede provinciale ed in ambito nazionale.

Di certo sono tanti, troppi, i lavoratori autonomi che negli ultimi due anni non hanno intravisto l’uscita dal tunnel se non ponendo fine alla loro esistenza.

Il sottoscritto sa bene cosa voglia significare tentare di sopravvivere lavorando in piena autonomia, ovvero, senza avere per datore di lavoro una qualche Istituzione Amministrativa o una impresa.

Significa, e lo dico per chi ha scarsa dimestichezza con l’argomento, alzarsi di mattina e, indipendentemente da quello che riuscirai a metterti in tasca, pagare: il fitto, il condominio, l’energia , il telefono i materiali di consumo gli spostamenti, le forniture, i dipendenti/collaboratori, i costi per la sicurezza, gli aggiornamenti obbligatori, le assicurazioni obbligatorie, l’irpef, l’iva, la tares la previdenza obbligatoria per sé ed i propri collaboratori e…scusate .. ma ho perso il conto…di quant’altro possa sussistere in forma di balzello ed obbligo sanzionato.

Basterebbe ciò a scoraggiare anche il più volenteroso ed ottimista dei lavoratori che intenda iniziare o continuare l’attività’.

Dunque, vorrei spezzare una lancia a favore di tutti coloro i quali non cadono nello stupido, ritrito e suggestivo assioma: LAVORATORE AUTONOMO = EVASORE FISCALE.

Si perché negli ultimi anni, e le dichiarazioni programmatiche dell’ultimo governo in carica si allineano ai precedenti, si e’ battuto sino alla noia su questo argomento, facendo credere che tutti i mali del Paese fossero collegati a questo fenomeno, giustificando, così, tutta una serie di misure fiscali, e non , restrittive della libera economia e, di fatto, portando allo stremo delle forze buona parte della catena produttiva con conseguenti scelte drammatiche.

Non solo, ma la cultura del sospetto ha creato nuovi disagi sociali legati alla contrapposizione ideologica tra lavoratori dipendenti, in particolar modo statali, e gli altri.

E’evidente che, in tutto questo “mare magnum”, l’imprenditore (ed ovviamente anche il professionista) si sia sentito non soltanto abbandonato ed emarginato ma abbia dovuto anche sopportare l’onta della concreta diminuzione degli introiti, a fronte della minore capacità di spesa del cittadino ed al quasi raddoppio dei costi dell’attività.

Risultato: fine dell’attività produttiva e conseguente esposizione debitoria nei confronti del fisco, delle banche e dei fornitori, ovvero…”HO PERSO TUTTO”.

Le tasse vanno pagate.

Nel sistema attuale, purtroppo, sono quasi l’unica voce di bilancio che serve a garantire i servizi minimi alla società.

Il problema è prevedere una equa pressione fiscale, proporzionata alla tipologia di attività espletata, una giustizia tributaria realmente accessibili a tutti i contribuenti e senza costi aggiuntivi, ma, soprattutto, una minore “oppressione fiscale”da parte dei massimi sistemi di controllo, onde evitare di cadere in uno stato di polizia tributaria.

Sono convinto, infatti, che, già intervenendo sui pochi punti che seguono si riavvierebbe la macchina economica imprenditoriale:

  1. reinnalzare il limite d’uso del contante sino ad € 3.000: consentirebbe una piu’facile circolazione delle spese correnti, lasciando il limite attuale solo per l’acquisto di autoveicoli, barche ed immobili;

  2. aliquota Irpef fissa ed unica per tutti, che consentirebbe due effetti: semplicita’di calcolo e incentivo alla maggior produttività delle imprese, attualmente schiacciate da aliquote che superano il 50% dell’imponibile;

  3. previdenza flessibile con soglia di intervento facoltativa con graduale equiparazione tra le funzioni dell’Inps e quella di una assicurazione privata: consentirebbe di decidere entro che termini e limiti investire sulla propria pensione in base al momento storico della propria vita ed alle esigenze contingenti;

  4. eliminazione del redditometro, in quanto becero ed inutile strumento punitivo per l’economia reale a favore di controlli telematici più efficaci da parte degli enti preposti;

  5. reintroduzione della contabilità forfettaria applicabili a tipologie di attività legate al mondo dell’artigianato e della imprenditoria giovanile o per quelle attivita’ che, sulla scorta degli studi di settore territoriali, non superano i 50.000 Euro di volume di affari.

6) abbattimento del 10% delle accise presenti sui prodotti energetici.

La differenza di gettito delle entrate potrebbe essere compensato effettuando la cosa più ovvia: aumentare la tassazione sulle rendite immobiliari e finanziari e sulle transazioni della Borsa Valori.

A questo andrebbe aggiunto l’auspicio del mancato aumento dell’Iva previsto.

A mio avviso, questi pochi interventi potrebbero rilanciare l’economia reale della produzione dei beni e servizi legati ai lavoratori a partita iva senza produrre danni collaterali.

E chissà, forse un giorno non leggeremo più frequentemente altre notizie di suicidi legati alla disperazione di imprenditori ed artigiani.

 

 Alfredo Granata

 

 

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